La verità è che abbiamo ansia di finire ma ci dispiace finire. Ghiaccio e ancora ghiaccio per attivare il ginocchio, che resiste, a volte sorprende. E dov'è la paura che avevamo di fermarci a Pietrasanta? quanta altra strada abbiamo fatto? Quanta gente abbiamo incontrato? Quanti cavalli ci hanno salutato, quanti gatti ci hanno fatto le fusa, quanti cani hanno segnalato il nostro passaggio?
Partiamo e perdiamo quasi tutti. Il fatto è che la tappa prevede la variante di Colle che è un po' meno faticosa. Andreas ci ha detto che la preferisce, perché è innamorato di Colle alta. Noi invece senza neppure consultarci sappiamo che andremo dall'altra parte. Per un po' facciamo la staffetta con Leo, tra le vigne, attraversando i torrenti. Su e giù.
Un lunghissimo gregge di pecore ci blocca al Molino d'Aiano invadendo il sentiero con il suo scampanellare. Un tranquillo grosso cane rintuzza gli agnellini in coda senza degnarci di uno sguardo.
Gli amici Giuseppe e Gianna ci trovano bloccati all'orto di Giovanni, il contadino più bizzarro che abbiamo mai incontrato. Lì coi suoi romolacci, sgrana barzellette, scurrilità vivaci, e perle di saggezza, e pare senza età, nei suoi riccioli lunghi e nelle sue rughe. Leo, appena arrivato, non se lo lascia scappare per il suo documentario.
Giuseppe e Gianna restano con noi per tutta la tappa. Ogni tanto Leo ci accompagna. Poi lo perdiamo a Quartaia e lo ritroviamo a Fabbrica, in macchina con un vecchio: si era perso, ma la strada, se uno è positivo, si fa ritrovare. Giovanni (pure lui si chiama Giovanni) ci descrive il borgo abbandonato. La chiesina è aperta ma non c'è più nulla, giusto un barattolo di marmellata dietro la porta. Si vede che è legato a quel luogo. Racconta la storia di un ragazzo morto lì, proprio lì, caduto in volo con il suo piccolo aereo. E poi della strega che impediva ai viandanti di proseguire.
Nel grosso edificio cadente c'è una vecchia lettiga da funerale, intatta, con i lumini alle spalle. La tristezza dell'abbandono. "Hanno venduto e hanno mandato via tutti quelli che ci vivevano". Già. Ma il borgo pare abbandonato come dopo un disastro improvviso. Quasi quasi neppure i bagagli hanno fatto gli abitanti...
Perdiamo Leo nel bosco perché lui si ferma a mangiare. Noi andiamo alle Vene: i piedi hanno bisogno di acqua fresca. Questo succede a conoscere i luoghi: si riconoscono gli angoli preziosi, anche se sono nascosti, appena qualche centimetro in là dal sentiero principale. Invece lui, di sicuro, ha seguito i segnali, non ha attraversato la cartiera abbandonata.
Dopo Onci ci sono le Caldane con la gente a prendere il sole.
Conosciamo tutti i passi. Giuseppe poi anche a occhi chiusi, dopo il suo progetto di quest'estate. Che poi, a dirla tutta, se già adesso in questo strano aprile improvvisamente caldo, sfoggiamo maniche corte, cosa deve essere nei mesi estivi qui con il solleone sulla testa?
A Strove pausa fragole. E oramai ci siamo.
Abbadia è poco più in là. E la Chiesa è aperta. Ci siamo, ci siamo quasi.
Prima di andare a dormire nell'ostello di Ava dei Lambardi, ceniamo con altri amici, Marzia, Marco e le piccole Viola e Giulia. è bello essere quasi a casa, essere accolti...
Partiamo e perdiamo quasi tutti. Il fatto è che la tappa prevede la variante di Colle che è un po' meno faticosa. Andreas ci ha detto che la preferisce, perché è innamorato di Colle alta. Noi invece senza neppure consultarci sappiamo che andremo dall'altra parte. Per un po' facciamo la staffetta con Leo, tra le vigne, attraversando i torrenti. Su e giù.
Un lunghissimo gregge di pecore ci blocca al Molino d'Aiano invadendo il sentiero con il suo scampanellare. Un tranquillo grosso cane rintuzza gli agnellini in coda senza degnarci di uno sguardo.
Gli amici Giuseppe e Gianna ci trovano bloccati all'orto di Giovanni, il contadino più bizzarro che abbiamo mai incontrato. Lì coi suoi romolacci, sgrana barzellette, scurrilità vivaci, e perle di saggezza, e pare senza età, nei suoi riccioli lunghi e nelle sue rughe. Leo, appena arrivato, non se lo lascia scappare per il suo documentario.
Giuseppe e Gianna restano con noi per tutta la tappa. Ogni tanto Leo ci accompagna. Poi lo perdiamo a Quartaia e lo ritroviamo a Fabbrica, in macchina con un vecchio: si era perso, ma la strada, se uno è positivo, si fa ritrovare. Giovanni (pure lui si chiama Giovanni) ci descrive il borgo abbandonato. La chiesina è aperta ma non c'è più nulla, giusto un barattolo di marmellata dietro la porta. Si vede che è legato a quel luogo. Racconta la storia di un ragazzo morto lì, proprio lì, caduto in volo con il suo piccolo aereo. E poi della strega che impediva ai viandanti di proseguire.
Nel grosso edificio cadente c'è una vecchia lettiga da funerale, intatta, con i lumini alle spalle. La tristezza dell'abbandono. "Hanno venduto e hanno mandato via tutti quelli che ci vivevano". Già. Ma il borgo pare abbandonato come dopo un disastro improvviso. Quasi quasi neppure i bagagli hanno fatto gli abitanti...
Perdiamo Leo nel bosco perché lui si ferma a mangiare. Noi andiamo alle Vene: i piedi hanno bisogno di acqua fresca. Questo succede a conoscere i luoghi: si riconoscono gli angoli preziosi, anche se sono nascosti, appena qualche centimetro in là dal sentiero principale. Invece lui, di sicuro, ha seguito i segnali, non ha attraversato la cartiera abbandonata.
Dopo Onci ci sono le Caldane con la gente a prendere il sole.
Conosciamo tutti i passi. Giuseppe poi anche a occhi chiusi, dopo il suo progetto di quest'estate. Che poi, a dirla tutta, se già adesso in questo strano aprile improvvisamente caldo, sfoggiamo maniche corte, cosa deve essere nei mesi estivi qui con il solleone sulla testa?
A Strove pausa fragole. E oramai ci siamo.
Abbadia è poco più in là. E la Chiesa è aperta. Ci siamo, ci siamo quasi.
Prima di andare a dormire nell'ostello di Ava dei Lambardi, ceniamo con altri amici, Marzia, Marco e le piccole Viola e Giulia. è bello essere quasi a casa, essere accolti...
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